Un compleanno a Milano - Pizzeria Gino Sorbillo


Ho iniziato a scrivere questo post mentre stavo andando a Milano per la, credo, quarta volta in sei mesi. Se pensate che io abbia un amante a Milano mettetevi in fila, prendete il numeretto e poi sedetevi comodi, la gente che lo pensa riempie un ufficio postale il giorno del pagamento delle pensioni.
Ma va beh.
Io vado a Milano perché mi piace avere un posto sicuro dove rifugiarmi, dove tutto va bene, dove anche se il cielo è bigio non lo sono io, dove trovo persone che amo e che mi amano, di cuore.

Milano sta diventando la mia seconda casa ma, nonostante questo, non mi ci trasferirei mai, o meglio, lo farei solo se tutto quello che ho a Roma non fosse bello come invece bello è.
Quindi sì, Milano è la seconda casa, quella dove vai nei fine settimana, per staccare, per star tranquilla, per divertirti. Ho prenotato questo viaggio quando la sola idea di passare il giorno del mio compleanno a Roma mi uccideva. A distanza di un mese ero felice di averlo fatto. 


Sul Frecciarossa, all'andata, mi è capitato un posto singolo, di quelli isolati, vicino al finestrino. Peccato, io adoro i posti a quattro, dove stai stretta e non puoi allungare le gambe ma dove puoi studiare le tre persone che stanno facendo il viaggio con te, vedere cosa fanno, se leggono, cosa dicono. E poi, se il treno si schiantasse, almeno saremmo in quattro, tutti vicini, a guardarci con terrore nei primi istanti. Se invece sei seduta da sola sei tu e tu sola. E non mi piacerebbe esserlo.

Nei due sedili davanti a me son capitati un giovanissimo padre e suo figlio, che avrà credo quattro o cinque anni (sono una frana a dare l'età ai bambini, mi sembrano sempre tanto piccoli oppure tanto grandi, non li vivo e quindi non riesco a decodificarli).
'Sto ragazzo ha parlato quasi ininterrottamente con il figlio per tre ore, mi chiedo: come fai ad avere un dialogo di senso vago, intermittente, a volte assurdo, inconsistente a volte anomalo e bizzarro, altre divertentissimo con un bimbo? Lo ignoro completamente. Ma poi penso a certe persone con cui mi è capitato di rapportarmi nella vita, a scuola, in università e soprattutto sul lavoro e allora capisco; ha un senso, eccome, almeno quello è suo figlio, crescerà maturerà imparerà e diventerà altro da quello che è ora, una piantina che sboccia. Almeno lui, ce l'ha una speranza, certa gente invece...
Arrivo puntuale a Milano, la mia amica mi aspetta fuori dal treno, baci, abbracci e saltelli (quasi 80 anni in due ma va bene così) e poi l'albergo, un quattro stelle perché i 39 anni si compiono una volta nella vita, infine il pranzo. Da Gino Sorbillo.
Non sono mai stata a Napoli, non ho fatto tante cose ma questo è un altro discorso, non ho quindi mai mangiato la pizza da Sorbillo, che mi dicevano tutti essere da provare. 
Non sono andata a Napoli a mangiarla ma nella sede Milanese della stessa, un locale dove è impossibile prenotare, ti presenti, dai il tuo nome e aspetti. Quando ti chiamano e ti siedi non puoi fare a meno di sbirciare i tavoli degli altri. Tanta roba. Ovunque.
Sarà pure la fame, perché a esser tardi è tardi eh, ma tutto sembra buonissimo. Ordini in fretta, scegliendo sul menù che poi è anche la tovaglietta di carta che poi è la tua apparecchiatura. 

Sette. Dev'essere il numero fortunato di Gino, perché altrimenti non si spiega come mai ci siano sette pizze cotte a legna, sette birre in bottiglia, sette bollicine, sette vini bianchi, rossi, bibite, dolci e liquori.
Sette di tutto ma un po' forzato perché poi - a ben vedere - le pizze sono di più, con la categoria furba "7+" Ma va beh, più scelta e bando alle tradizioni scaramantiche o fortunelle.

Io ho scelto di provare la Margherita Bufala DOP con una lista ingredienti lunga quattro righe che recita: " Pomodoro San Marzano D.o.p., Mozzarella di Bufala D.o.p. della Cooperativa "Le Terre di Don Peppe Diana", Parmigiano Reggiano di montagna (stagionato 36 mesi) Malandrone 1477, Olio Extra vergine d'Oliva Italiano di Agricoltura Biologica, Basilico Fresco". Vi sfido a leggerlo tutto d'un fiato.

La pizza è arrivata ed era tanta, buona, grossa, sottile, morbidosa nel bordo, era tutto quello che doveva essere, era tutto quello che prometteva. Brava lei. 

Un piccolo spazio lo dedico ai camerieri, gentili e rapidi, pronti e pazienti per spiegare il menù, per ascoltare i bisogni dei clienti, per trovare le soluzioni, i camerieri che mi hanno regalato una bottiglietta di acqua solo perché era più facile che ritrovare il nostro ordine e segnarlo, perché avevo un mal di testa che non passava e dovevo prendere una medicina "stai male? va beh, questa la offro io", perché a volte basta poco per rimanere impressi a qualcuno. Servizio? 9!

Il resto del week end è stato un susseguirsi di cose di poco conto per voi ma di gran conto per me: 
- la ricerca delle ballerine bicolor di cui pare Milano sia sprovvista
- l'aperitivo al Piccolo Teatro 
- Parco Sempione al tramonto
- i selfie scemi. Ma tanto
- le crepes puzzolenti da "El Beverin" in Via Brera
- il mio primo (e ultimo) Alexander, tanto pannoso quanto però pesantissimo per una come me che ha una relazione complicata con l'alcool e lo regge a fasi alterne senza trovare un bandolo a questa matassa
e poi
- le foto sfocate di una ragazza con una corona in testa che scarta un regalo
- la colazione continentale di quelle che annientano pure un camionista perché erano le otto di mattina e avevamo dormito manco cinque ore
- il mercatino di libri usati
- le foto al mio amato Duomo ogni volta che ci passavo davanti, in ogni angolazione, clima e orario del giorno e della notte (e mi sono trattenuta stavolta)
- il pranzo da Arnold's (a meno di quattro ore di distanza dalla colazione continentale ammazzacamionisti) a base di cappuccino freddo con tre strati di panna e topping al cioccolato, torta agli Oreo e il cheesecake più statunitensemente pesante che Dio abbia mai creato. Tipo che subito dopo so morta e ancora non sono resuscitata. Tipo.
Milano, quest'ultima volta è stato tutto questo e anche di più.
E quindi, alla prossima. 

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